Il castrum Podii Donadei, nelle descrizioni che ne fanno gli autori, è giudicato come fortezza difficilmente espugnabile. Appollaiato sulla cima rocciosa di un colle erto e scosceso, cadente a picco da notevole altezza sulla valle del Rio, era circondato da una robusta e in lunghi tratti duplice cerchia di mura merlate.
Nella porzione del perimetro in cui le mura castrensi, per ragioni tecniche derivanti dalla configurazione del terreno, non potevano conservare una notevole altezza ed erano protette da uno spazioso e profondo fossato.
La Rocca, primitiva opera di difesa per gli abitanti, si ergeva ancora più in alto, dalla cima di una propaggine di tale impervia massa rocciosa, dominante l’abitato e la vallata, fornita di una porta con ponte levatoio appoggiato ad un terrapieno riportato che aveva sotto di se un fossato profondo 30m. la porta principale della Rocca, situata nella rientranza del muro più interno della cerchia, fornita di ponte levatoio, era difesa da due massicci torrioni rotondi che si innalzavano ai suoi lati. Da questa porta entrarono, a seguito della segnalazione del prefetto della rocca, le milizie sforzesche nell’assedio del 1460 e fu di conseguenza la parte più danneggiata da quest’azione bellica.
Il sacco operato dalle truppe assedianti e l’ordine impartito dal pontefice di rimuovere ogni carattere di fortezza militare al castello, determinarono l’apertura di ampie brecce nella cerchia delle solide mura castellane, che, ove non era a proteggerle il fossato, correvano molto elevate, come in prossimità della porta d’accesso alla rocca. Smantellate che furono le opere militari, parecchi edifici privati ebbero il permesso di poter costruire appoggiati alle mura del castello: un articolo dello Statuto della Comunità stabiliva la misura della tassa che si dove corrispondere per ottenere tale beneficio.
Nella seconda metà del XV secolo, contemporaneamente o poco dopo l’ampliamento del convento di S. Paolo ad opera dei frati francescani, fu dai Savelli decisa la costruzione della nuova porta del paese e dell’ampia strada carrozzabile che doveva congiungere l’abitato al convento. Questa Porta, aperta a 100m dalla vecchia, è di proporzioni grandiose ed ornata da bugnati in travertino lavorato e tuttora ben conservata; le fu dato il nome di Porta S. Paolo, perché i Savelli vollero che da essa si partisse l’ampia strada carrozzabile, lunga circa 1km, aperta per congiungere il castello al convento e alla strada di maggior traffico che sbocca nella Salaria da una parte e dall’altra tocca vari castelli della valle del Farfa, fino a giungere a Terni.
Anche questa porta doveva essere munita di ponte levatoio e protetta dal fossato che in epoca posteriore fu sostituito da un ponte stabile in muratura (1603), in modo che sotto il piano stradale risultarono ampi locali nei quali veniva effettuata la quarantena in occasione di epidemie. Poiché la cerchia di mura che circondava il castrum Podii Donadei era quasi per tutto il suo perimetro duplice, costituendo con le sue torri nel complesso un massiccio baluardo capace di resistere ad offese esterne, poté permettersi di disporre di tre porte: oltre quelle sopra citate, vi era la Portella.
Sulla primitiva rocca di Donadeo fu edificato, in epoca non facilmente determinabile per le frequenti sovrastrutture che vi si notavano, il palazzo baronale: esso dovrebbe risalire tuttavia non oltre il XIII secolo o prime decadi del XIV. Durante l’assedio del 1460 vi si trovavano le due figlie di Giacomo: Bartolomea e Battistina. Devastato dal sacco, fu lasciato in abbandono fin quando non tornò di proprietà di Giovan Battista Savelli (1480): la sua ricostruzione e il suo ampliamento furono portati a termine dal principe Bernardino Savelli e dalla consorte Lucrezia Anguillara, che lo trasformarono definitivamente in un grandioso edificio, quale lo si ammirò fino al terremoto del 1915.
Il vecchio ingresso, meglio adatto alla difesa della rocca), fu gravemente danneggiato dal saccheggio descritto nei Commentarii di Pio II ed è stato sostituito dalla nuova porta, spostata in direzione della piazza per renderne più agevole l’ingresso: nonostante la distruzione ormai completa dell’edificio, esso conservava in alto lo stemma dei Savelli, scolpito in marmo bianco (rubato di recente).
La mole e la forma del castello rimasero immutate fino al terremoto del 1915, che distrusse tutto.
In numerosi atti conservati nell’Archivio Borghese sono descritti il numero degli ambienti, la loro disposizione, l’inventario delle suppellettili che lo arredavano, ma, a differenza dei Savelli, i Borghese non vi soggiornarono mai, né vi produssero modifiche: essi trasformarono il feudo in una semplice azienda agricola. Al primo piano, immediatamente sopra al grande atrio cinquecentesco, era un salone vastissimo detto palla a corda. Serviva da sala delle armi per l’allenamento agli esercizi militari e più di recente a sala di divertimento per il gioco palla a corda. Affiancata a questa era una lunga teoria di camere di rappresentanza, con portali in travertino, e al piano superiore numerose camere da letto.
Nell’atrio cinquecentesco si apriva una teoria di celle carcerarie, di cui le prime più ampie furono trasformate in scuderie e le altre, munite di piccole finestre munite di inferriate, rimasero inutilizzate: la più interna fu chiamata cella della morte perché vi si tenevano i prigionieri condannati alla pena capitale o coloro che si desiderava perissero durante la prigionia. Le carceri funzionarono fino alla proclamazione del Regno d’Italia. Dal lato opposto dell’atrio, altri grandi saloni e magazzini, alcuni dei quali furono poi adattati a frantoio di olive. Vi era anche una grotta con pozzo dell’acqua che sopperiva alle necessità del castello.
In nessuna parte del castello lo stemma dei Savelli fu sostituito da quello dei Borghese. In quasi tutti i portali di travertino delle sale del primo piano erano scolpite le iscrizioni “Ber. Sav. S.R.E. Mar. P.”, testimonianza indubbia che la sistemazione definitiva del castello fu curata da Bernardino Savelli. |